Un villaggio nella città

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Un villaggio nella città

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Sentirsi soli e sperduti in una città come Londra, che accoglie più di sette milioni e mezzo di abitanti può sembrare paradossale, ma posso garantirvi che è una sensazione ampiamente condivisa, non solo da chi, come me, ci abita da poco, ma anche da chi ci vive da sempre. Questo senso di spaesamento non è legato solo al vivere in un ambiente così grande che a volte può spaventare, ma si rispecchia anche nei cambiamenti generali delle forme di socialità negli ultimi anni. Basti considerare come un ambiente macro e globale come il web veda il frammentarsi degli utenti in miriadi di microcomunità basate su condivisione di passioni, interessi, problemi, indipendentemente dall’effettiva vicinanza geografica dei partecipanti.

Anche nell’ambiente offline la voglia di un ritorno a forme di socialità più piccole e ristrette è assolutamente palese e più forte che mai. Come per gli agorafobici terrorizzati dagli spazi aperti, così gli abitanti sono alla ricerca di nuove forme di socialità, che li veda racchiusi e uniti in realtà più piccole, rassicuranti e “protette”. Realtà assolutamente simili a quelle dei nostri piccoli comuni, in cui tutti si conoscono, in cui le problematiche e i momenti salienti vengono condivisi e discussi, in cui se si ci siede su una panchina si è sicuri che nel giro di poco passerà qualcuno che si conosce per scambiare due chiacchiere.

È così che un quartiere come Brixton si plasma nel tempo, combattuto tra due forze opposte e diverse: da una parte la tensione all’apertura e all’inevitabile cambiamento che investe l’intera area urbana, dall’altra la voglia di preservare una propria indipendente identità, legata alla cultura caraibica che negli anni passati ne fece la propria “capitale” non ufficiale. Del quartiere pericoloso e a volte oscuro descritto dai The Clash in The Guns of Brixton, che diede i natali a David Bowie e che vide una serie di party clandestini a base di musica elettronica dei Basement Jaxx, è rimasto il fermento e il movimento culturale e di idee, respirabile e palpabile. E centro nevralgico è il Brixton Village, vecchie gallerie commerciali riadattate, che racchiudono di tutto e di più: barbieri dallo stile retrò, atelier sudafricani, negozietti vintage, gallerie d’arte, pasticcerie specializzate in cupcakes, ristorantini italiani, negozi di parrucche o suppellettili indiane. Insomma, di tutto. E in questo luogo giovani artisti, creatori, musicisti, designer o semplicemente gente con dei sogni che hanno voglia di esplodere da un cassetto, hanno la possibilità di trovare un proprio spazietto, un personale angolino espressivo, in un marasma di proposte e realtà.

In un vero e proprio villaggio nella città.

 

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