Penne Libere

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La facilità con cui i bambini si avvicinano alla scrittura è per me attualmente un punto di studio a cui faccio di continuo riferimento. Lavorando con loro attraverso lo sviluppo di laboratori di scrittura, ed osservandoli mentre sono all’opera, cerco di capire attraverso quali dinamiche arrivino a formulare anche la storia più semplice. La cosa per me più incredibile è che quando poi, in un secondo tempo, mi ritrovo a parlare delle identiche cose (idee, ispirazione, foglio da riempire) con gli adulti che seguo su di un versante simile ma con strutture di corsi differenti (vedi sceneggiatura cinematografica e corsi di scrittura), tutto sembra perdersi nel mare dell’oblio. Quello che non posso fare a meno di notare è il blocco che esiste e persiste molto spesso nell’approccio alla storia da inventare nel mondo dei “Grandi” rispetto alla più totale spontaneità e coraggioso ardire dei piccolini. Dico piccolini perché queste teste piene di cose da raccontare vanno dai sette ai dieci anni, e che senza farselo ripetere due volte tirano giù alla seconda o terza lezione già una bella paginetta piena zeppa di parole. Perché non vale lo stesso percorso per i grandi? Perché nel momento in cui una volta divenuti adulti decidiamo di avvicinarci ad un corso di scrittura (evidentemente perché vogliamo raccontare qualcosa) poi ci prende il panico e non riusciamo a venire a capo di una storia che abbia un inizio, un centro e una fine? Non le abbiamo già sentite tutte le fantasmagoriche favole fatte di castelli e di maghi dalle bacchette scintillanti? Non sappiamo forse che il vero colore del cavallo del prode principe non si avvicina nemmeno lontanamente al bianco? E allora perché se sappiamo molto di più della vita e abbiamo l’esperienza per raccontarlo ci spaventiamo a dover riempire qualche foglio bianco? In parte una mezza verità sta nella consapevolezza che i grandi hanno di quello che stanno per rivelare di sé attraverso la scrittura. Per i bambini invece è tutto diverso. Loro non guardano alla capienza del foglio lucente, né si preoccupano di ciò che penseranno gli altri di quello che stanno per buttar giù, l’unica cosa invece su cui tengono porre l’accento è che alla fine di quello che hanno inventato e scritto tutti fanno la pace diventando amici e capendo che il bene vince sempre sul male. Quando invece abbiamo vissuto già un bel pezzo di esistenza questa forma positiva di approccio l’abbiamo quasi persa del tutto. Le nostre storie non riescono a chiudersi come dovrebbero e resta sempre quella parte di noi non soddisfatta di quanto abbiamo raccontato. Per i bambini nulla di tutto questo. Il cane azzurro è azzurro davvero, e la brutta strega alla fine non se la passa per niente bene. La linearità di come i piccoli affrontano anche tutte le loro prime paure si evince attraverso la scrittura, ma si assiste ad una chiara messa in scena di quanto c’è nel loro cuore e nella loro mente. La fantasia fa parte integrante della realtà, perché è attraverso di essa che si può superare il ponte del castello, ossia volando. Se questa stessa prospettiva di affrontare le cose l’avessimo anche noi adulti nella vita reale di tutti i giorni ne trarremmo grandissimo beneficio. L’essere umano nasce pronto per la vita e pieno di grandi attese, nella prima infanzia crede in esse con tutto il suo spirito finché la vita non gli dimostra falsamente il contrario e cioè che ha torto. Crescendo impariamo a convivere con questa presa di coscienza ma è solo riuscendo a conservare il bambino che è in noi che saremo in grado di affrontare la stessa vita ma con armi differenti, magari con un grosso drago sputa cubetti di ghiaccio armato contro tutte le avversità.

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