IL VIAGGIO NEL VIAGGIO

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IL VIAGGIO NEL VIAGGIO

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Trecentocinquanta etichette da valigia –storiche o eccentriche, già rare o destinate a diventarlo – ammiccano dagli angoli del Luise, albergo 4 stelle a Riva del Garda.

 

Sono il tesoro della famiglia Bertolini (proprietari dell’albergo, già raffinati cultori di arte e libri) raccolto in anni di collezionismo e passione.

Oggi queste etichette rappresentano il vessillo dell’hotel: campeggiano nella hall in tutto il loro valore di cimeli storici (alcune risalgono addirittura alla metà dell’800 e sono preziosi esemplari di luggage labels provenienti da ogni parte del mondo), ricorrono nelle camere e negli spazi comuni dell’albergo. Etichette che richiamano gli anni in cui il viaggio era un rito fatto di bauli, cappelliere, casse e borse che passavano di mano in mano (dalla servitù agli autisti ai concierge) e dovevano essere riconoscibili. Gli anni in cui ogni valigia portava sulla propria pelle la memoria di viaggi e avventure. Tutto, nell’hotel Luise, evoca l’idea del viaggio: le decorazioni a soffitto delle zone comuni rappresentano la stilizzazione di mappe di città, la splendida vista sulle montagne richiama come sempre al cammino. Lo stesso tema ricorre nelle 16 camere “type”, frutto del sapiente restyling voluto dai Bertolini e curato dallo studio di progettazione MI9. Ogni stanza è dedicata a un’etichetta da valigia d’epoca da cui, a cascata, derivano il cromatismo della camera, le fotografie evocative alle pareti, una scritta che esplicita il senso del viaggio. Il mood delle “type room” è decisamente vintage: le stanze sono impreziosite da una Lettera32 Olivetti originale, mobili in metallo nero e piani in legno ad evocare il design danese anni ’50, vecchie lampade da ufficio. E’ così che il Luise osa il paradosso: un albergo che invita i propri ospiti a restare attraverso una raffinata esortazione a partire, un albergo che trasmette l’idea del viaggio quale condizione esistenziale, in cui la meta è secondaria rispetto all’euforia dell’andare.

L’hotel Luise, citando l’antropologo Duccio Canestrini, celebra la “dimensione rituale di ogni arrivo e di ogni partenza” e lo fa con la certezza che l’invito a partire lasci spesso prevedere la voglia di tornare.


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