Per lo scrittore satirico Rudolf Rolfs non è altro che una “dittatura in miniatura”, per Karl Kraus è “un’interferenza nella vita privata”, per il professor Ronald Laing di Harvard è “una ragnatela, un fiore, una tomba, una prigione, un castello”. Di cosa si sta parlando? Della famiglia, of course, vera e propria comunità affettiva (o almeno questo dovrebbe essere) che il fotografo Thomas Struth ha prima studiato nei minimi dettagli e poi mostrato nella serie “Family Portraits”. Malessere, piacere, dolcezza, passione qui sono scovate, semplicemente fissando il volto di un nonno attempato, l’atteggiamento di una nipotina irrequieta o il disagio di uno zio davanti alla macchina. L’artista, nato a Geldern in Germania nel 1954, esplora le dinamiche personali e culturali che condizionano il modo in cui vediamo e percepiamo noi stessi e gli altri. L’album che ne viene fuori è ricchissimo di spunti e alterna scatti a colori a immagini in bianco e nero, senza alcuna logica apparente….
C’è la famiglia scozzese Smith, otto elementi che fissano l’obiettivo senza mostrare alcuna emozione, e ci sono i Felsenfeld-Gold di Philadelphia, disordinati e sorridenti in posa dietro una maxi cartina geografica; ci sono gli Ayvar da Lima, seduti attorno a un tavolo un po’ impacciati e gli Hirose da Hiroshima, ritratti in salotto e circondati da giornali, libri, quadri d’arte contemporanea e sculture africane. Ognuno è immobile e silenzioso, ma in realtà ci svela la propria storia. Per la realizzazione di queste immagini Struth, da buon tedesco, ha sempre rispettato regole precise: “Le famiglie devono sempre essere al completo – racconta – Se si tratta di una coppia con tre figli non ne può mancare nessuno. Insieme scegliamo il luogo e la stanza dove fare le foto. Poi io decido l’inquadratura e loro possono scegliere liberamente come presentarsi, ma tutti devono guardare dritto nell’obiettivo”. Alla fine, ogni lavoro si riempie di sfumature psicologiche che lasciano trasparire le fragilissime (o solide, dipende dai casi) dinamiche affettive e relazionali, rivelando il modo in cui ogni individuo si relaziona al gruppo. Un vera analisi sociale, insomma, a cui Struth non è nuovo: il suo marchio di fabbrica, infatti, è sempre stato un mix di documentazione e interpretazione, tra analisi sociale e lettura psicologica. In trent’anni ha raccontato soggetti diversissimi fra loro: paesaggi urbani, il pubblico di musei celebri, foreste vergini e fiori, impianti industriali e centri di ricerca spaziale e, appunto, nuclei familiari. In cui ogni soggetto sembra essere seduto sul lettino di un analista assai puntiglioso, che si diverte a indagare, osservare e, alla fine, scoprire che, come diceva Lev Tolstoj, “tutte le famiglie felici si assomigliano, mentre tutte le famiglie infelici sono infelici a proprio modo”. Germano D’Acquisto
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